Se va o non va sono comunque soddisfatta del mio lavoro :D Buona lettura!
VIRUS
Un chiaro ed
argenteo bagliore lunare descriveva minuziosamente il profilo sgraziato del mio
ospite, addormentato in posizione fetale sul suo materasso ortopedico.
Quella sera, a
differenza delle precedenti, non lo rallegrai con la mia molesta presenza,
permettendogli così un sonno beato.Non crediate che la mia indulgenza fossecausatada
un moto di pentimento: ero semplicemente distratto dai miei pensieri.
Qualche ora prima,
mentre fuggivo dagli anticorpi, mi ero imbattuto nella retina e decisi quindi di cogliere
l’occasione per osservare le attitudini del mio ospite.
Solitamente studio il tipo di persona dalle sue abitudini alimentari, essendo un virus intestinale ho una certa esperienza in questo settore, ma la mia forte curiosità preferisce sempre vedere e sentire.
Solitamente studio il tipo di persona dalle sue abitudini alimentari, essendo un virus intestinale ho una certa esperienza in questo settore, ma la mia forte curiosità preferisce sempre vedere e sentire.
Fu così che da
Lorenzo, giovane assistente universitario se non mio precedente acculturato ospite,
appresi molte nozioni, tanto di carattere culturale quanto sociale. Con lui
compresi quanto fosse usuale parlare con una ragazza senza averla accanto,
evitando il rischio di impappinarsi, dire la cosa sbagliata e risultare
impacciato. Si chiamava Lea, studentessa all’ultimo anno di ingegneria informatica,
e si scrivevano per ore in chat, decantando quanto un display rendesse libero il
proprio animo dalle restrizioni sociali autoimposte.
Dal canto mio, preferisco
sempre un caldo ed avvolgente bacio come espediente per il contagio. Purtroppo però,
durante una sessione d’esami, per uno starnuto incontrollato, fui catapultato
nel mio nuovo ospite.
Non potevo immaginare contaminazione più ingloriosa.
Non potevo immaginare contaminazione più ingloriosa.
Da quest’ultimo non
imparai molto se non come trasformare un semplice mal di stomaco in un
necrologio: compresi di essere per lo più un pretesto per giustificare un’indole
lamentosa. Oltretutto la sua terribile ignoranza mi spacciò per una sospetta
appendicite, fra doppie dimenticate, “k” esuberanti e emoticon esagerate.
La sostanza del
mio fastidio era del tutto secondaria alla forma con la quale poteva
descriverlo al peggio. In fin dei conti però il mio non era fra i destini più
sfortunati, di sicuro molto di più lo è quello del virus dell’amore, del quale
si narrano e ostentano storie inesistenti di personaggi valorosi, i quali al
logout si rivelano essere semplici comparse della propria vita.
Al pari di ogni
virus, di ogni natura e genere, il mio compito è sconvolgere uno stato di
tranquillità, sfruttando i miei sintomi come monito del mio arrivo. Tutto
questo dovrebbe procurare una consapevolezza ed una reazione. Eppure sembra più
divertente non ascoltare i cambiamenti, minimizzarli o esagerarli purché la
gente creda che sia sempre tutto perfettamente bello o brutto.
L’unica salute che
sembra importante è quella del computer e se davvero fosse così allora voglio
essere un virus informatico.
Tutto ad un tratto
fu come se mi fossi riattivato; non mi ero neppure accorto fosse già passata la
notte.
Con svogliatezza mi affacciai dalla pupilla, curioso di sapere se nel frattempo avesse capito che non potevo di certo essere un attacco di appendicite.
Con svogliatezza mi affacciai dalla pupilla, curioso di sapere se nel frattempo avesse capito che non potevo di certo essere un attacco di appendicite.
Purtroppo quando
soggiorno nel bulbo oculare la mia permanenza ha sempre un tempo limitato prima
che il prurito e il bruciore mi costringano ad allontanarmi.
Mi incendiai di
rabbia. Non potevo essere stato eliminato e se avevo ancora la facoltà cognitiva
esistevo, come Lorenzo amava ripetere.
La mia rabbia crebbe
al punto che mi sentii esplodere.
Invece,
improvvisamente, fu il buio.
Mi sentivo legato, in
trappola, incapace di muovermi. Lo avevo forse ucciso?
Solitamente non ero un assassino.
Solitamente non ero un assassino.
Poi il nulla fu
sferzato da una barra bianca lampeggiante.
La guardai
attentamente,impaurito dalla sua regolarità.
Bruscamente delle
lettere bianche spinsero la barra verso destra. Lo schermo stava per essere
riempito ed io pregai di non essere schiacciato.
La medicina si era
evoluta al punto di divertirsi con i batteri prima di ucciderli.
Improvvisamente
però un’esplosione di colori mi avvolse, immergendomi in uno scudo dalla tinta
rossa e gialla: assomigliavo a un virus mal riuscito di influenza ed il
risultato dell’epatite.
I miei affanni non
terminarono lì.
Fu la volta di un
foglio di carta, malmesso e stropicciato, che mi chiese cortesemente di passare
poiché non mi ero accorto stessi ostruendo il passaggio per il cestino. Mi
spostai con parvenza disinvolta lasciando che andasse incontro al suo destino.
Credendo sarebbe stato un caso isolato mi rimisi nella posizione iniziale ma
inaspettatamente una massa informe di immagini, suoni, cartelle e fogli , tutti
malconci e corrotti, correvano imbestialiti nella mia direzione.
Delle luci rosse
con una paletta monitoravano dall’alto l’operazione.
Seppur non
conoscessi affatto quegli strani esseri, la loro ferocia mi diede l’impressione
di essere in pericolo. Mi tuffai nella prima cartella utile, in cui riposavano
dei file html, ognuno dei quali raccoglieva frasi, aforismi e conversazioni fra nickname.
Il mio cuore
pulsava come quello del protagonista di un thriller che Lea amava consigliare a
Lorenzo.
La prima volta che
gliene parlò fu la sera in cui si conobbero. Distratta dalla passione per la
trama di quel libro bevve dal boccale del ragazzo.Quando se ne accorse, ridendo
gli poggiò una mano sul braccio. Ero in incubazione ma l’improvviso
capovolgimento dello stomaco di Lorenzo fu palpabile.
Il suo corpo era
avvampato in un attimo.
Il calore.
Come avevo fatto a
non accorgermene prima.
Non ero più nel
corpo del mio ospite, ero nel suo computer!
Ero un virus
informatico ed ero stato io a provocare il blackout che aveva azionato gli
antivirus.
La mia felicità
era proporzionale a quanti nuovi progetti avevo in mente: per prima cosa avrei mandato
in ebollizione il computer del mio ex ospite lamentoso, più per antipatia che
altro; poi quelli di tutto il mondo.
Le persone
dovevano tornare a occuparsi con attenzione delle cose reali.
Esplorare il mondo
non dalle foto degli altri. Percepire le leggere variazioni di voce dell’interlocutore.
Scrutare i suoi movimenti. Ridere della sua goffaggine e sentire lentamente il
cuore battere per uno sguardo che non fosse misurato in pollici.
Se ero diventato,
oltre ad ogni mio più grande desiderio, un virus informatico, probabilmente ero
anche potentissimo.
Eppure nel mio
diabolico piano c’era qualcosa che non mi convinceva.
La loro astinenza
da tastiera sarebbe durata il tempo di un reset o dell’acquisto di un nuovo PC.
Avrei dato motivo per nuove lamentele su quanto fosse stato difficile vivere
quella giornata senza computer. Dovevo fare qualcosa di più modesto che
conciliasse con i miei desideri e che avesse un effetto visibile.
Rovistai freneticamente
fra alcuni file cercando ispirazione finché non fui attratto da una parola. “Ripetizioni”.
Iniziavo a
delineare una strategia, forse con qualche sfumatura da sceneggiatura cinematografica
ma che a parere di un virus, che stava imparando a pensare, era geniale.
Creai una nuova ed
innocua copia di me con allegato un testo, composto dalle parole che pescai nei
vari file dell’hard-disk, come un grande collage. Poi fu la volta della copia letale
e distruttiva, la quale una volta terminata fu detonata.
Con lo scoppio, aggrappato
alla mia docile copia, fui catapultato nella rete, lasciando dietro di me il ricordo
di un pc funzionante.
Arrivato a
destinazione spacciai il mio alter-ego per la risposta di un annuncio internet
di ripetizioni.
Lorenzo era laureato
in storia ma sbadato in informatica, non avrebbe mai scoperto la mia
natura. Come aprì l’email fui di nuovo catapultato attraverso una fitta rete di
pacchetti.
Dopo poco mi trovai a sobbalzare nello smartphone nella tasca degli shorts di Lea.
Dopo poco mi trovai a sobbalzare nello smartphone nella tasca degli shorts di Lea.
Non avendo
programmato come sarebbe continuata la strategia, mi affidai alla creativa
improvvisazione.
Diedi una rapida
occhiata ai suoi dati telefonici e al profilo facebook.
Nulla di curioso,
eccetto qualche divertente battuta riferita a serate e pomeriggi con gli amici
e l’appello disperato di una sua amica alla quale la lavanderia diede il ben
servito. Per fortuna Lea aveva portato il vestito da cerimonia prima che la
sbadata addetta iniziasse a lavorare nel negozio. Andai nel panico, avrei
dovuto ambire a rimanermene tranquillo nello stomaco della gente sperando che
al massimo potessi causare una lavanda gastrica.
Lavanda gastrica.
Idea!
Sarei dovuto
entrare nella pagina della lavanderia per poi dirottare semplicemente uno di
quei messaggi di scuse alla posta privata di Lea.Ormai avevo una certa dimestichezza
nel muovermi nella rete: arrivai a destinazione in un istante e ancora più
facile fu attuare al seconda parte del piano.
Non sentii cosa
disse quando lesse il messaggio ma dalla velocità con la quale mi rimise in
tasca capì che stava correndo alla lavanderia, sperando che il vestito che le
avevano prestato non si fosse rovinato troppo. Saltavo così forte da aver paura
di essere catapultato fuori e cadere in strada, per questo mi trasferii
nell’i-phone di Lorenzo.
Era davanti al
citofono del numero civico che gli avevo consegnato, leggendo attentamente ogni
cognome, infastidito dal fatto che non trovasse l’interno che gli era stato
indicato.
“Che ci fai qui?” chiese
con un gran sorriso solare una ragazza che stringeva in mano un’enorme busta
rigonfia.
“Ciao! “ la salutò piuttosto
spiazzato “devo dare ripetizioni a un
ragazzo all’interno 14.Tu come mai qui?”
“Abito qui! Sai,
ero all’università ma la lavanderia mi ha avvisato che avevano avuto un
problema con i macchinari e che molti vestiti si erano rovinati nel lavaggio.
Credo si siano sbagliati perché il mio per fortuna era già pronto da due giorni.”
seguì un attimo di silenzio “che civico hai detto?”
“14! ”
“Credo che ti sia
sbagliato, qui arriva fino al 13”
Lui prese velocemente
il telefono; entrò nella posta elettronica accorgendosi che l’email incriminata
si era cancellata.
Alzò le spalle e si
girò verso la macchina, la fissò per pochi secondi finché un leggero sorriso lo
distrasse dai probabili impegni che avrebbe potuto posticipare.
“ Ti va un caffè?”
Splendida storia. Complimenti..
RispondiEliminaF.M.
Anche se non so chi tu sia, grazie mille davvero! :)) Sono felicissima che le sia piaciuta!
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